
Un canto di speranza: è ciò che rappresenta la terza parte della silloge "Per chi semina nel pianto - Speranza del fiore" di Davide Dalla Valle.
Una speranza non passiva, fatalista, che porterà l'uomo alla disperazione e alla disfatta ma, al contrario, una speranza che si opponga alla prepotenza e che sia ostinata lotta del bene contro il male.
L'ostinazione di un fiore che mette radici nei terreni più aridi per poter aprire i petali rivolgendoli al cielo.
L'uomo che si pasce di questa speranza, in fondo, non muore mai poiché la lotta per la verità è una fiamma sempre eterna. Si muore, anche se biologicamente vivi, quando quella fiamma finisce di ardere.
E' una poesia dai tratti autobiografici quella di Dalla Valle, cantata - termine appropriato se consideriamo la musicalità del verso - in prima persona.
Onirica, sognante, rivolta alle stelle ma con radici ben piantate al suolo affinché la speranza non diventi un miraggio, una irraggiungibile vacua illusione.
I versi del poeta sono intrisi di panismo. I suoi personaggi tendono a fondersi con la natura circostante e a divenire un tutt'uno che guarda sempre alla speranza.
Dai versi emerge una spiritualità combattuta, complessa, in cui l'eroica contrapposizione tra dolore e gaiezza diventa un tema portante e la famiglia assume quasi valore terapeutico.
Non a caso "Chi semina nel pianto" è il Salmo 125: "Chi semina nel pianto cantando mieterà. / Quando Iddio ricondusse i dispersi / ci sembrò di sognare; / ci rivenne il sorriso alle labbra, / cantammo di gioia[...]".
Gabriele B. Fallica
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