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Negli ultimi anni, l’assenza del crocifisso nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici italiani è diventata sempre più evidente. Basta con l'islamizzazione forzata della società italiana. 



Un cambiamento che, pur non essendo frutto di una legge esplicita, riflette una trasformazione più profonda della società italiana, sospesa tra laicità istituzionale, multiculturalismo crescente e un’identità culturale ancora fortemente radicata nel cristianesimo.


Il crocifisso, per decenni, ha rappresentato qualcosa di più di un semplice oggetto religioso: era percepito da molti come un simbolo culturale, un richiamo alla tradizione, alla storia e ai valori che hanno forgiato la civiltà italiana.

Per altri, però, - in particolare non credenti e islamici - la sua presenza costante negli spazi pubblici rappresentava un’ingerenza religiosa incompatibile con uno Stato laico, soprattutto in un contesto in cui la popolazione si è fatta via via più variegata per fede e provenienza.

Non si capisce, dunque, se il problema sia quello di mantenere l'aspetto della laicità dello Stato perché si debba avere sempre più a che fare con l'Islam: visite degli studenti nelle moschee, studio del corano, tentativo di introdurre le feste islamiche nei calendari scolastici (Ramadan uno su tutti). 
Uno Stato laico non ha crocifissi ma non deve neppure piegarsi alle richieste dell'Islam. Le regole valgono per tutti.


Non c’è stata, va detto, una legge che abbia vietato il crocifisso. Anzi, la giurisprudenza italiana, compresa quella della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, ha più volte stabilito che il crocifisso può essere presente nei luoghi pubblici, lasciando però ampia discrezionalità alle scuole e alle amministrazioni. È proprio questa libertà di scelta che ha portato a una progressiva scomparsa del simbolo in molte realtà, specie nelle grandi città, dove le scuole e gli uffici cercano spesso di evitare qualsiasi riferimento religioso per tutelare la neutralità e l’inclusività.

Tuttavia, questa assenza non è accolta da tutti con serenità. Una parte significativa della popolazione italiana – credente o semplicemente legata alla tradizione – percepisce la rimozione del crocifisso come un impoverimento culturale, una rinuncia identitaria. “Non è solo una questione di fede, ma di radici”, affermano in molti. Il crocifisso, secondo loro, non impone nulla, non esclude nessuno, ma ricorda valori universali come la compassione, il sacrificio, la solidarietà.

Diverse iniziative civiche chiedono a gran voce il ritorno del crocifisso nelle scuole e negli uffici, sostenendo che la neutralità dello Stato non significa cancellazione delle tradizioni. Alcuni comuni hanno addirittura deliberato per reinstallare il simbolo in tutte le aule comunali, come atto di riaffermazione identitaria.

Da non dimenticare, come in molte scuole sia ormai impossibile festeggiare il Natale per non turbare i musulmani (ma che vengono a fare in un paese cristiano se poi devono lamentarsi di tutto?) però vorrebbero imporre il Ramadan come festa nazionale.


Questa tensione tra laicità e tradizione, però, non deve essere letta solo in chiave di scontro. Potrebbe invece aprire uno spazio di riflessione su cosa significhi davvero convivere in una società pluralista. È possibile che il crocifisso torni ad avere un posto, magari accompagnato da altri simboli o da spiegazioni storiche, in un contesto di rispetto e apertura da parte di chi non è nato in Italia e che ha un'altra storia? 

Secondo noi le radici cristiane dell'Italia ed i valori cristiani devono essere recuperati e rispettati da tutti. Chi non vuole stare in Italia, un paese dalle radici cristiane, torni pure da dove è venuto.
I ragazzi italiani, nelle scuole, non devono studiare il corano o andare in visita nelle moschee.

Basta con l'islamizzazione forzata
della società italiana.

Staff

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tutti gli stranieri che
hanno compiuto o compiono
reati in Italia.
Chi ha avuto condanne
torni al suo Paese
a compiere reati.




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